Gli studiosi Barbadoro e Barsanti sostengono che i provvedimenti emanati da Cante ebbero un preciso carattere di repressione, Gli studiosi più recenti, invece, tra i quali  D’Amelio e Carboni, propendono per il riconoscimento della regolarità formale e giuridica del processo

È giusto che Cante Gabrielli venga “avvelenato” di nuovo dal Consiglio comunale di Gubbio, che rappresenta i cittadini, il 4 ottobre 2016? È giusto infamare un così grande concittadino che ha applicato le norme vigenti, col chiedere scusa a Dante Alighieri, che secondo esperti di chiara fama meritava la condanna?

GUBBIO – Come è noto, Cante Gabrielli si è reso famoso, in particolare, per aver emesso come podestà di Firenze le due famose condanne contro Dante Alighieri: quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, con la quale il poeta viene condannato al rogo in contumacia per non essersi presentato dopo la prima condanna, nonché alla distruzione delle sue case. Dante se ne va, pertanto, in esilio, pellegrino per tutta Italia fino alla sua morte.

Su queste due sentenze non esiste assolutamente un giudizio unanime, in quanto da alcuni studiosi Cante viene accusato di grande parzialità e di aver adottato provvedimenti illegittimi, mentre altri studiosi, di chiara fama, propendono per il riconoscimento della regolarità formale e giuridica del processo. Reputano, tuttavia, che “i provvedimenti da lui presi furono estremamente severi come potevano esserlo nel modo consentito dal diritto allora in vigore, in una situazione di conflitto civile”.

Non esiste quindi sulle due sentenze unanimità nel giudizio degli studiosi. Non si comprende, pertanto, il motivo della convocazione addirittura del Consiglio comunale di Gubbio per il giorno 4 ottobre, alle ore 11, per chiedere a Dante Alighieri scusa per le due sentenze sopra ricordate.

Da parte nostra, come di molti altri, si mette in rilievo che l’esilio fu per Dante e per i posteri una grande fortuna, perché il poeta se non fosse stato esiliato non ci avrebbe lasciato il suo grande poema La Divina Commedia che sembrerebbe sia stato composto in gran parte nel castello di Colmollaro, vicino Gubbio, ospite del suo amico Bosone da Gubbio, autore di un romanzo in volgare: “l’Avventuroso Ciciliano”. Questo viene contestato, ma si fa notare che  la perfetta descrizione del fiume Chiascio, fatta da Dante nel canto di San Francesco, presupporrebbe una sua diretta conoscenza.

Anche il grande poeta Giosué Carducci ha la convinzione che senza l’esilio del sommo poeta non avremmo avuto il suo capolavoro. In un suo sonetto, infatti, composto nel maggio 1874, intitolato “A Messer Cante Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze nel MCCCI e Dante Alighieri”, che fa parte della raccolta Giambi ed Epodi, si meraviglia che a Cante, “Podestà venerando e cavaliero”, l’Italia ancora non gli abbia dedicato un monumento in  una piazza.

Ritiene, infatti, che a Cante  Gabrielli vada il merito della realizzazione della Divina Commedia: “Molto mi meraviglio, o messer Cante, / Podestà venerando e cavaliero, non v’abbia Italia ancor piantato intiero / in marmo di Carrara e dritto stante  / sur una piazza…” .

Ma cerchiamo di capire chi è Cante Gabrielli

Appartiene ad una famiglia molto antica, una delle più illustri d’Italia, tradizionalmente fedele alla Chiesa, apertamente schierata con il partito guelfo. È stato podestà di importanti città, ad esempio Siena e Firenze nel 1300. Il primo novembre 1301 è alla testa del corteo dei cavalieri senesi che accompagnano Carlo di Valois, figlio di Filippo III di Francia, nel suo ingresso con l’esercito nella città di Firenze. Carlo di Valois è stato nominato dal Papa Bonifacio VIII per fare da paciere in Toscana tra i guelfi bianchi, allora al potere, sospettati di simpatie ghibelline e i guelfi neri.

Per espressa volontà del Pontefice, Cante Gabrielli, esperto politico, fedele al suo disegno, affianca il Valois. Dante, membro del Consiglio del popolo e di altri organismi, cerca di contrastare le ingerenze del Papa. I guelfi neri tornano al potere ed il Valois il 9 novembre 1301 affida l’incarico di podestà di Firenze a Cante Gabrielli, che emana le due famose sentenze di condanna contro la gente di parte bianca, alla quale appartiene Dante Alighieri: quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, entrambe motivate dalle accuse infamanti di concussione e di baratteria.

Nella prima sentenza Cante Gabrielli condanna Dante Alighieri, che in quel momento è assente da Firenze in quanto ambasciatore a Roma, ad una multa di 8.000 fiorini, al divieto di partecipare al governo di Firenze ed all’esilio dalla Toscana per due anni, pro bono pacis. Chiaramente Dante non torna a Firenze dopo la prima sentenza per discolparsi, temendo la cattura, e quindi diventa contumace. Il primo marzo 1302 si ha la seconda sentenza e poiché Dante Alighieri non aveva ottemperato a quanto stabilito in quella precedente, viene condannato al rogo, nonché alla distruzione delle sue case e alla confisca dei suoi beni. La condanna viene poi trasformata in esilio perpetuo. Durante la podestaria, Cante dà dimostrazione di essere un grande condottiero. Il 30 giugno 1302 termina il suo incarico.

Ritornando al  tema  centrale e cioè se Cante Gabrielli abbia operato correttamente nei due processi contro Dante Alighieri ripetiamo che non esiste unanimità di giudizi, in quanto ci sono due tesi di studiosi di chiara fama, molto competenti, che hanno giudizi  diametralmente opposti: quella di alcuni studiosi più indietro nel tempo, che attribuiscono a Cante Gabrielli comportamenti di estrema parzialità, addirittura illegittimi, per cui il processo verrebbe giudicato non regolare, dettato dall’ansia e dalla fretta della sopraffazione.

È la tesi, tra gli altri, degli studiosi Barbadoro e Barsanti, che sostengono che i provvedimenti emanati da Cante ebbero un preciso carattere di repressione, anche feroce, nei confronti dell’avversario, di estrema determinazione e ferocia contro i ghibellini ed i guelfi bianchi, contrari all’azione egemonica della Chiesa. Inoltre accusano Cante di aver emesso nei confronti dei ghibellini di Firenze non meno di 170 condanne a morte, tra le quali predilesse il rogo, forse per il suo carattere purificatorio.

Gli studiosi più recenti, invece, tra i quali  D’Amelio e Carboni, propendono per il riconoscimento della regolarità formale e giuridica del processo, ritenendo che questo debba essere collocato nel quadro delle lotte municipali della Firenze del Trecento, in cui una fazione affermava e consolidava il suo potere, attraverso eminenti personalità della propria fazione, mediante condanne a morte, bandi e rovina economica e politica della parte avversa.

Giovanni Ciappelli ha fatto la seguente dichiarazione :“…in definitiva si può certo dire che il comportamento del Gabrielli corrispose alle aspettative del regime in quel momento al potere a Firenze e in questo senso (le sentenze) ebbero carattere di repressione, anche feroce, nei confronti dell’avversario battuto. Tuttavia, stante le accuse e lo svolgimento dei processi, sarebbe difficile imputare a quei provvedimenti caratteristiche di irregolarità formale e di illegalità in senso assoluto, dalle quali, infatti, il Gabrielli è stato sostanzialmente assolto da studi recenti”.

La storiografia moderna assolve Cante, che viene ritenuto una persona scrupolosamente religiosa, animato da una missione la quale, seppure non escludesse episodi di violenza, fu perseguita in buona fede. Ed allora perché accusare Cante Gabrielli di parzialità quando non esiste l’unanimità di giudizio tra gli studiosi? In dubio pro reo.

Altre notizie sul Gabrielli confermano che si tratta di un personaggio di alta caratura

Nel 1327 papa Giovanni XXII lo chiama alla guida delle milizie guelfe federate sotto le insegne pontificie, con il titolo di capitano generale della lega guelfa. Oderigi Lucarelli sottolinea che “non vi fu impresa politica o militare nell’Italia centrale dal 1300 al 1315 alla quale egli non prendesse parte, insieme ai fratelli ed ai figli”.

A Gubbio, dopo l’ostracismo ai ghibellini del 1315, sollecitato da Cante Gabrielli e da Pietro conte della Branca, nel quale si stabilisce che tutti gli ufficiali pubblici dovessero essere guelfi, si instaura lo stato Guelfo a Gubbio che produce un forte sviluppo economico e durante il quale, secondo Oderigi Lucarelli, la città  raggiunge la  bellezza di 50.000 abitanti.

Durante questa amministrazione guelfa si costruiscono opere prestigiose come il palazzo del Popolo, il palazzo del Podestà, il bottaccione ed il condotto. Gabrielli, difese sempre la libertà di Gubbio. Muore nel 1335, forse avvelenato dai ghibellini di Gubbio.

È giusto che Cante Gabrielli venga “avvelenato” di nuovo dal Consiglio comunale di Gubbio, che rappresenta i cittadini, il 4 ottobre 2016? È giusto infamare un così grande concittadino che ha applicato le norme vigenti, col chiedere scusa a Dante Alighieri, che secondo esperti di chiara fama meritava la condanna?

Non sarebbe meglio, anche per l’immagine della città di Gubbio, ritenere che sia stata giusta la condanna, anche perché senza l’esilio saremmo stati privati di un così grande capolavoro, come sostengono in molti? Non sarebbe meglio quieta non movere?

Maria Vittoria Ambrogi, Giambaldo Belardi