L’ex magistrato:Se la corruzione è così invadente è perché chi dovrebbe prevenirla non la combatte con efficacia

GUBBIO – Giovedì sera presso la Sala trecentesca del Comune di Gubbio, si è tenuto l’incontro, organizzato dall’Associazione “Articolo tre“, con Antonio Di Pietro, per parlare della stagione di “Mani Pulite” di cui il celebre magistrato fu il principale protagonista.

Foto Antonio Di Pietro

Sala Trecentesca gremita per Antonio Di Pietro

Ad incalzare con le sue domande l’ex ministro è stata la giornalista RAI Cristina Clementi. Il tutto di fronte ad una platea molto vasta e di tutte le età; segno che anche a distanza di anni e di generazioni la sete di conoscenza sui fatti del ’92 non si è affatto placata. Si è partiti con la genesi dell’inchiesta milanese: “Mani Pulite non nasce per combattere la corruzione ha esordito Di Pietroma per contrastare il reato del Falso in bilancio. In secondo luogo l’arresto di Mario Chiesa avvenuto il 17/02/1992 ha rappresentato soltanto la chiave che ci ha permesso di scoperchiare un sistema che già esisteva“.

Di Pietro infatti racconta come “il malaffare nei rapporti tra impresa e Pubblica Amministrazione sia stato sempre presente fin dal dopoguerra; quello che mancava era quel qualcosa che permettesse di portare a galla tutto il marcio che c’era sotto. Il sistema delle tangenti da questo punto di vista è stato una sorta di work in progress, nel senso che, per così dire, accompagnando la storia del nostro paese fin appunto dall’epoca della ricostruzione post-bellica, si è via via affinato fino ad arrivare ai giorni nostri.

Insomma noi del pool di Milano non abbiamo fatto altro che trovare il meccanismo investigativo adatto a scardinare tutto quest’intreccio omertoso di rapporti tra politica ed imprenditoria. Abbiamo scoperto la cosiddetta acqua calda“.

Foto Antonio Di Pietro

Cristina Clementi e Antonio Di Pietro

Il personaggio di spicco di quel pool ha poi tenuto a precisare che tale inchiesta non è stata mai istruita per fini diversi da quello della giustizia, come da molti paventato nel corso degli anni successivi. Precisa ed esaustiva la risposta fornita da Di Pietro sulla questione dei metodi investigativi usati in relazione ai suicidi, anche illustri, che avvennero durante quel periodo, come quelli di Raul Gardini e Gabriele Cagliari.

A nessuno piace sbattere la gente in carcere, tantomeno se c’è la possibilità che molti, scoraggiandosi, potrebbero togliersi la vita, ma questo aspetto non deve condizionare eccessivamente il magistrato nello svolgimento delle sue funzioni. Inoltre queste morti illustri hanno fatto clamore, molto di più di tante altre morti in prigione proprio perché si trattava di persone importanti“.

Foto Municipio

Palazzo Pretorio

Ma come funzionava, o funziona in buona sostanza il meccanismo criminale oggetto dell’inchiesta?

A prescindere se si tratta di corruzione o concussione il concetto è semplice: se un’impresa, nel partecipare ad un appalto fa parte di un cartello ed ha un proprio riferimento politico e amministrativo all’interno di un determinato ente, allora il gioco è fatto; anche perché non dobbiamo dimenticarci che non sono i politici a governare questi processi, ma i funzionari delle amministrazioni che rimangono ai loro posti indipendentemente dal colore dei governi.

Attraverso il nostro metodo di indagine e allo scambio di informazioni con le altre procure, fra cui quella di Palermo, le imprese potevano raccontarci quello che succedeva nelle amministrazioni di tutto il paese.

Al sud ad esempio il rapporto era a tre perché oltre alla politica, l’imprenditore doveva confrontarsi anche con la mafia. Una mafia che dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio non fu più contro le istituzioni, ma decise di entrare dentro le istituzioni stesse; infatti iniziò la sua strategia di infiltrazione nell’imprenditoria e nella politica a tutti i livelli. Il fenomeno della corruzione e concussione non è altro che un matrimonio d’interesse; non c’è una parte che prevale sull’altra“.

Foto Antonio Di Pietro

Sala Trecentesca gremita per Antonio Di Pietro

Di Pietro ha poi sfatato, riguardo ad eventuali attacchi che avesse potuto subire per la sua collaborazione con Falcone e Borsellino,  il mito del magistrato senza paura “chi dice che non ha paura non dice la verità. L’unico principio che ha guidato la mia attività mi fu mostrato dalle parole di mia sorella che mi diceva di fare il mio dovere e pagarne le conseguenze“.

In conclusione la Clementi ha chiesto all’illustre ospite la domanda delle domande: “Come mai in Italia si assiste ancora a fatti di corruzione così diffusi?” “La risposta è molto semplice – ha replicato l’ex magistrato – nel nostro paese si continua a delinquere perché conviene farlo e la colpa è del sistema che dovrebbe prevenire che ciò avvenga ed invece è tuttora inquinato“.

Giovanni AlessiFotografie Cronaca Eugubina