La fiamma di Sant’Antonio rappresenta sia l’inferno che la cura che brucia il male. La vita del Santo diventa il riferimento di una vita eremitica, lotta contro il demonio e guida di altri eremiti

GUBBIO (F.C.) – Proseguono gli eventi organizzati dalla Famiglia dei Santantoniari per le celebrazioni del 50° anniversario della Fondazione.

Sabato 7 aprile, presso la Chiesa di San Giovanni Decollato (detta dei Neri) si è tenuto un interessante convegno sulla vita di Sant’Antonio Abate, grazie alla relazione offerta dal Professor Paolo Caucci von Saucken. 

Ringrazio tutti voi per essere presenti a questo evento.ha introdotto il presidente Alfredo MinelliPer noi era fondamentale inserire nel programma delle celebrazioni un momento di approfondimento sulla vita del Santo col quale siamo orgogliosi di rendere omaggio al nostro patrono Sant’Ubaldo”.

Il sindaco Filippo Stirati ha portato il saluto dell’Amministrazione comunale: “Apprezzo le iniziative dei Santantoniari che ritengo di qualità. La Festa dei Ceri deve innalzare il proprio livello di consapevolezza, anche con appuntamenti di tipo culturale”.

Per me è un privilegio essere quiha spiegato il Prof. Paolo Caucci von Saucken – a relazionare sulla vita e sul culto di un Santo cosi importante. Sant’Antonio nasce a Kuma in Egitto nel 250 d.c. da una famiglia ricca. Dona tutto quello che ha ai poveri per dedicarsi alla vita eremitica, anche fuggendo da coloro che volevano seguirlo nella sua scelta.

La potenza che gli deriva dalla fede fa si che il deserto si riempie di altri eremiti dei quali egli accetta di diventarne la guida (Anacoretismo).

Un tratto distintivo della sua vita è la battaglia perenne contro le tentazioni. In questo senso la fiamma rappresenta sia l’inferno che la cura che brucia il male. La vita del Santo diventa il riferimento di una vita eremitica, lotta contro il demonio e guida di altri eremiti.

Alla sua morte nel 356 il suo corpo fu nascosto nel deserto. Questo fu poi trasferito ad Alessandria d’Egitto e quindi a Costantinopoli per via dei suoi poteri curativi (la figlia dell’imperatore era malata). Fu poi intorno al 1070 che un generale francese al servizio dell’imperatore d’Oriente e malato lo riporta in patria nella zona del Delfinato (al confine con le Alpi).

Il culto che ormai da secoli viene professato nell’abbazia benedettina di Arles è solo il risultato di secoli e secoli di liti furibonde tra i monaci benedettini e l’Ordine Ospedaliero di Sant’Antonio”. 

I simboli principali dell’iconografia antoniana sono oltre alla fiamma, il tau azzurroche rappresenta la via della salvezza“, la campanella dei questuanti e il maialino, col cui grasso venivano curate molte malattie prima fra tutte il “fuoco di Sant’Antonio“.

Di Giovanni AlessiFotografie Cronaca Eugubina