Nel resto d’Europa, basti pensare alla Francia e ai paesi nordici, le aree rurali sono oggetto di investimenti e di valorizzazione e rappresentano un notevole motore di sviluppo socio economico.
Auspico che, a fronte anche delle positive esperienze effettuate in Umbria a partire dal 2014, si sprigioni una grande iniziativa politica e istituzionale per contrastare questa pericolosa inversione di rotta.
Se d’altra parte si vuole mirare alla coesione sociale, occorre smettere di pensare in termini di rendimento amministrativo e tornare alla buona politica, nel senso più alto e nobile, che implichi ascolto, valorizzazione, scelta. Se un paese dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, rinuncia clamorosamente ad essere una Repubblica!

GUBBIO – Voglio augurarmi che il mondo della politica e quello delle istituzioni della nostra regione si sia reso conto della gravità dei contenuti di un documento ministeriale, pubblicato senza grandi clamori all’inizio dell’estate, tale da lasciare sconcertati.

Una frase contenuta a pagina 45 del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI), approvato in ritardo e redatto nelle zone nebbiose dei dipartimenti centrali, recita, nell’Obiettivo n. 4 (Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile): “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza, ma nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”.

Mi verrebbe da commentare: cure palliative per un malato terminale!

La politica delle aree interne nacque nel 2013 in seno all’Agenzia per la coesione territoriale, grazie all’azione lungimirante del Ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca. Obiettivo che riassumo brevemente era quello di attivare una serie di politiche attive per contrastare i fenomeni di declino demografico e di marginalizzazione territoriale.

Come è noto, le aree interne si concentrano nei territori alpini e appenninici, presentano carenza o mancanza di servizi base per i cittadini (sanità, istruzione, mobilità), ma al contempo possiedono una elevata disponibilità di risorse ambientali e culturali.

L’ambizione di tale politica era e resta, per quanto mi riguarda, il tentativo di fare delle angustie e dei ritardi storici di questi territori delle opportunità, ribaltando tutta una serie di dinamiche e puntando, ad esempio, sul turismo slow, sulla energia green, sui percorsi e gli itinerari culturali e religiosi, su una qualità della vita fatta di saperi e di sapori che oggi può rappresentare un’alternativa al “male di vivere”.

Non parliamo di piccoli numeri, perché nella definizione di aree interne rientrano circa 4.000 di comuni italiani, sparsi in tutte le regioni, per oltre 13 milioni di cittadini (il 23% della popolazione), con una copertura di quasi il 60% del territorio nazionale. Si tratta, in buona sostanza, di quell’Italia profonda, che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese.

Oggi il governo italiano sembra volerci dire che non ci sono speranze di rilancio, ergo non si investirà più per trattenere i giovani o attrarne altri. Nella migliore delle ipotesi si pianificherà una sorta di dignitosa decadenza, un welfare del tramonto, magari con badanti e medicine, ma senza opportunità né speranza.

Tutto questo ha il sapore di un verdetto, piuttosto che di una strategia, e mi spinge a fare un doveroso riferimento all’Articolo 3 della Costituzione repubblicana, teso a rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il libero sviluppo dei cittadini.

Faccio notare, altresì, sommessamente che nel resto d’Europa, basti pensare alla Francia e ai paesi nordici, le aree rurali sono oggetto di investimenti e di valorizzazione e rappresentano un notevole motore di sviluppo socio economico. Auspico che, a fronte anche delle positive esperienze effettuate in Umbria a partire dal 2014, si sprigioni una grande iniziativa politica e istituzionale per contrastare questa pericolosa inversione di rotta.

Io stesso, come Sindaco di Gubbio, sono stato capofila dell’Area Interna Nord-Est dell’Umbria (che emozione essere del nord est!); posso dire che i dieci comuni di questo contesto hanno avuto non solo opportunità di investimento e di importanti interventi, ma soprattutto, anche dopo la malinconica abolizione delle comunità montane (per i comuni davvero montani assai dannosa!), c’è stata una grande occasione di nuova programmazione territoriale, nello sforzo di rendere le aree dei diversi comuni affini più omogenee e meno prigioniere di percorsi campanilistici.

L’Umbria è una regione piccola, ma molto complessa sul piano delle rispettive vocazioni territoriali ed una appropriata programmazione territoriale è quanto mai necessaria per rispettarle tutte nella loro specificità.

Come ha già rilevato qualche esperto non si tratta soltanto di un errore di valutazione tecnica da parte del Governo Meloni, bensì di un messaggio devastante e liquidatorio. C’è poi una questione di dignità, dal momento che le comunità delle Aree Interne non vogliono trattamenti compassionevoli, bensì giustizia, strumenti ed opportunità. Non si tratta di gestire problemi considerati non risolvibili, ma viceversa occorre liberare risorse.

Se d’altra parte si vuole mirare alla coesione sociale, occorre smettere di pensare in termini di rendimento amministrativo e tornare alla buona politica, nel senso più alto e nobile, che implichi ascolto, valorizzazione, scelta. Se un paese dichiara la fine di sé stesso, un borgo alla volta, rinuncia clamorosamente ad essere una Repubblica!

Prof. Filippo Mario Stirati (Già Sindaco di Gubbio)