Il Presidente di Confprofessioni Umbria: “Ritengo che al posto di interventi economici spesso inefficaci o difficili da comprendere la nostra Italia ha bisogno di una programmazione efficace di lungo periodo per affrontare i prossimi anni, che sia in grado di garantire la ripresa, gli investimenti e lo sviluppo

GUBBIO – Il nuovo DPCM varato dal Governo, ritorna ad imporre chiusure sempre più severe per le attività il cui normale svolgimento è ritenuto indice di diffusione del contagio.

Turismo, commercio, ristorazione, cinema, teatri, mostre ed eventi hanno subito quindi un nuovo stop, per un altro mese e speriamo che sia solo per questo periodo, anche se al momento dubito che ci sia qualcuno che possa dirlo con certezza.

Per non pochi dei soggetti colpiti da queste restrizioni, l’imposizione di una nuova chiusura dopo quella della primavera scorsa, rischia di rappresentare il punto di non ritorno. Ovviamente sono previste misure di sostegno a favore di queste categorie e guai se non fosse così!

Questo però non avviene mai con la stessa tempistica e quindi contestualmente al provvedimento di divieto di svolgere l’attività. Ci sono percorsi procedurali non sempre agevoli che hanno quale contraccolpo l’insorgere di incertezza, disagio e frustrazione nei soggetti destinatari della chiusura.

C’è poi da fare anche una seconda analisi e precisamente che difficilmente i “ristori” incidono sulla intera filiera produttiva e ne consegue che riparano solo parzialmente (e neppure per tutti) il danno effettivamente subito.

Il rischio reale è che in questo contesto, emergono sempre più quelle due “Italie” che la pandemia sta rendendo ancora più distanti e potenzialmente conflittuali, riferendomi ai soggetti “garantiti” e quelli “non garantiti”, quella dei pensionati, dei dipendenti pubblici ed in parte dei dipendenti privati da un lato (i garantiti) e quella delle partita IVA, dei precari, dall’altro.

I primi, il cui reddito resta comunque del tutto neutro e tutelato rispetto ai rischi provocati dalla pandemia, i secondi che vedono compromesso, talvolta irrimediabilmente quel tenore di vita che il loro reddito aveva garantito per loro e per le loro famiglie.

Quanto qui rappresentato si traduce in una conseguente differente reazione anche di fronte ai provvedimenti del Governo, la prima categoria infatti si dimostra favorevole alle restrizioni anche di eventuale chiusura totale come in primavera, i secondi appaiono sempre più spaventati ed innervositi dalle chiusure selettive ritenute discriminatorie, sfociando in proteste. In sintesi chi era garantito prima del Covid ora lo è anche di più, chi lo era poco, adesso non lo è per niente!

Queste considerazioni non hanno lo scopo di alimentare questa frattura, schierandosi dalla parte di chi non è garantito rispetto chi lo è, ma si vuole porre l’attenzione del possibile pericolo sociale che questa pandemia ha creato.

La crisi sanitaria ed economica la supererà solo un Paese unito e solidale che tenga conto delle inevitabili differenze che caratterizzano la società e che sappia riconoscere la strada da seguire, nell’interesse di tutti.

In conclusione ritengo che al posto di interventi economici spesso inefficaci o difficili da comprendere la nostra Italia ha bisogno di una programmazione efficace di lungo periodo per affrontare i prossimi anni, che sia in grado di garantire la ripresa, gli investimenti e lo sviluppo.

Una programmazione credibile che ci permetta di accedere ai fondi europei che altrimenti rischiano di restare un miraggio. Disinnescare le possibili esplosioni sociali è la priorità e fare in modo che tutti i cittadini possano avere una dignità per vivere.

Dott. Roberto Tanganelli